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20 novembre 2022

LA COMETA SHOEMAKER-LEVY 9 COLPISCE GIOVE NEL 1994. by Andreotti Roberto - INSA.

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Aggiornato il 20/11/2022

LA COMETA CHE HA COLPITO GIOVE
NEL LUGLIO DEL 1994
D/1993 F2 (SHOEMAKER-LEVY 9)

La cometa Shoemaker-Levy 9 (formalmente designata 1993e e D/1993 F2) è divenuta famosa perché è stata la prima cometa ad essere osservata durante la sua caduta su un pianeta. 

Scoperta:
Fu scoperta il 25 marzo 1993 dagli astronomi Eugene e Carolyn S. Shoemaker e da David Levy, analizzando lastre fotografiche dei dintorni di Giove, destò immediatamente l'interesse della comunità scientifica; non era mai accaduto infatti che una cometa fosse scoperta in orbita attorno ad un pianeta e non al Sole. Catturata tra la seconda metà degli anni sessanta ed i primi anni settanta da Giove, le interazioni tra il gigante gassoso e la cometa ne avevano causato la disgregazione in 21 frammenti. Nel 1993 si presentava all'osservatore come una lunga fila di punti luminosi immersi nella luminescenza delle loro code, indicati spesso sui giornali come "la collana di perle". IAUC 5725 .

( Le macchie scure sono le aree di impatto dei frammenti della SL9 ).

Studi ed osservazioni:
Gli studi dell'orbita della cometa portarono alla conclusione che essa sarebbe precipitata sul pianeta nel luglio del 1994. Fu quindi avviata un'estesa campagna osservativa che coinvolse numerosi osservatori a Terra e diverse sonde nello spazio per la registrazione dell'evento. 
Tra il 16 ed il 22 luglio del 1994, i frammenti della cometa caddero su Giove in un vero e proprio bombardamento. Le macchie scure che si formarono sul pianeta furono osservabili dalla Terra per diversi mesi prima di essere riassorbite dall'atmosfera di Giove. 
L'evento ebbe una rilevanza mediatica considerevole, ma contribuì notevolmente anche alle conoscenze scientifiche sul Sistema solare. In particolare, permise di effettuare misurazioni sugli strati profondi dell'atmosfera gioviana, normalmente inaccessibili, e sottolineò il ruolo svolto da Giove nel ridurre i detriti spaziali presenti nel Sistema solare interno.
Gli osservatori speravano che gli impatti avrebbero fornito dettagli sugli strati di Giove al di sotto delle nuvole più superficiali, dal momento che i materiali in profondità sarebbero stati esposti dai frammenti di cometa in caduta attraverso l'atmosfera superiore. Le osservazioni spettroscopiche dei siti d'impatto rivelarono le linee di assorbimento caratteristiche dello zolfo biatomico (S2) e del disolfuro di carbonio (CS2): fu la prima volta che questi composti furono rilevati su Giove e solo la seconda che lo zolfo biatomico fosse rivelato in un corpo celeste diverso dalla Terra. Furono individuati ammoniaca (NH3) ed acido solfidrico (H2S). Le quantità di zolfo rilevate erano molto superiori a quelle contenute in un piccolo nucleo cometario; fu quindi ipotizzato che questi materiali provenissero effettivamente dall'interno del pianeta. Con grande sorpresa degli astronomi, non furono rilevati composti di zolfo ed ossigeno, come ad esempio l'anidride solforosa (SO2).
Oltre a queste molecole, furono identificate emissioni di atomi pesanti come ferro, magnesio e silicio, in quantità corrispondenti a quelle presenti nei nuclei cometari. Sebbene fossero rilevate quantità significative di acqua, esse furono inferiori alle aspettative, quindi o l'ipotetico strato di acqua gioviano è più sottile del previsto, oppure i frammenti di cometa non hanno raggiunto una profondità sufficiente.

I vari frammenti della cometa SL9 prima dell'impatto ).

Orbita:
Gli studi orbitali della cometa appena scoperta rivelarono che essa orbitava attorno a Giove completando una rivoluzione ogni 2 anni e percorrendo un'orbita caratterizzata da un apogiovio di 0,33 unità astronomiche (49.000.000 km) e da un'eccentricità piuttosto elevata, pari a 0,9986.
La cometa aveva già completato diverse orbite attorno a Giove prima di essere rilevata. Gli studi condotti sulla sua orbita rivelarono infatti che era stata catturata dal pianeta all'inizio degli anni settanta o a metà degli anni sessanta, mentre era in orbita attorno al Sole.
Prima di allora era probabilmente una cometa di breve periodo con un afelio appena all'interno dell'orbita di Giove e un perielio interno alla fascia di asteroidi. Furono individuate anche alcune immagini precedenti alla scoperta, tra cui quelle del 15 marzo di Kin Endate, del 17 marzo di S. Otomo e del 19 marzo di Eleanor Francis Helin. Non furono trovate immagini risalenti ad un periodo precedente al mese di marzo del 1993.

Il volume di spazio all'interno del quale si può dire che un corpo è in orbita attorno a Giove è definito dalla sfera di Hill (o sfera di Roche) di Giove. Quando, nell'anno della sua cattura, la cometa transitò nei pressi del gigante gassoso, si trovò leggermente all'interno della sfera di Hill del pianeta e probabilmente in un tratto dell'orbita in prossimità dell'afelio, cioè in corrispondenza del quale il movimento relativo della cometa rispetto a Giove era molto piccolo. L'attrazione gravitazionale esercitata da Giove fu quindi sufficiente a mutare l'orbita della cometa da un'orbita intorno al Sole ad una molto eccentrica attorno al gigante gassoso.

Il 7 luglio 1992 passò ad una distanza minima di 40000 km dalle nubi gioviane, molto all'interno dell'orbita di Metis e del limite di Roche del pianeta, dove le forze di marea sono sufficientemente intense da disintegrare un corpo celeste tenuto insieme dalla sola forza di gravità. Sebbene la cometa fosse già transitata nelle vicinanze di Giove precedentemente, l'incontro del 7 luglio fu il più vicino e gli studiosi ritengono che possa essere stato quello in cui il nucleo della cometa si frantumò. Ad ogni frammento fu assegnata una lettera dell'alfabeto identificativa (dalla A alla W), secondo una prassi già adottata precedentemente.
Gli astronomi, in base ai dati orbitali, dedussero che la cometa sarebbe passata a meno di 45000 km dal centro di Giove (una distanza inferiore al raggio del pianeta) nel luglio del 1994; c'era quindi un'altissima probabilità che la cometa entrasse in collisione con il gigante gassoso. Gli studi suggerirono inoltre che la sequenza degli impatti del gruppo di frammenti sarebbe durata circa 5 giorni.

L'impatto con la cometa Shoemaker-Levy 9:

IMPATTO su GIOVE offerto da MEDIA INAF

All'avvicinarsi della data prevista per l'impatto, crebbe la trepidazione nella comunità scientifica e non. Molti telescopi a Terra e diversi osservatori spaziali furono puntati verso Giove, tra questi ultimi: il Telescopio spaziale Hubble, il satellite ROSAT e la sonda Galileo, che era in rotta per un rendez-vous con il pianeta previsto per il 1995. Gli impatti avvennero nel lato del pianeta opposto alla Terra, ma la sonda Galileo fu in grado di osservarli direttamente da una distanza di 1,6 UA. La rapida rotazione di Giove rese i siti degli impatti visibili dalla Terra qualche minuto dopo l'evento.
Per l'occasione, altre due sonde in missione nello spazio profondo furono puntate verso Giove: la Ulysses a 2,6 UA di distanza dal pianeta, progettata principalmente per lo studio del Sole, e la Voyager 2, in quel momento a 44 UA da Giove e diretta verso l'esterno del sistema solare dopo aver sorvolato Nettuno nel 1989, che fu programmata per registrare le emissioni radio nelle frequenze tra 1 e 390 kHz.

Il primo impatto avvenne alle 20:13 UTC del 16 luglio 1994, quando il frammento A del nucleo colpì l'emisfero meridionale del pianeta ad una velocità di 60 km/s. Gli strumenti a bordo della sonda Galileo rilevarono una palla di fuoco che raggiunse la temperatura di 24000 K, prima di espandersi e raffreddarsi a 1500 K in circa 40 secondi. Il pennacchio raggiunse una altezza di circa 1000 km.
Dopo qualche minuto gli strumenti misurarono un nuovo aumento di temperatura, probabilmente causato dai materiali espulsi che ricadevano verso il pianeta. Gli osservatori a terra individuarono la palla di fuoco mentre si sollevava dal bordo del pianeta poco dopo l'impatto iniziale.
Gli effetti oltrepassarono le previsioni degli astronomi: molti osservatori videro subito dopo il primo impatto un'enorme macchia scura, visibile anche con piccoli telescopi, di dimensioni pari a 6000 km (valore prossimo a quello del raggio terrestre). Tale macchia e quelle che si formarono in seguito agli impatti successivi presentavano una forma marcatamente asimmetrica, con un semianello più spesso nella direzione opposta rispetto a quella di impatto. Gli studiosi ritennero che esse fossero composte principalmente dai detriti.
Nei successivi sei giorni, vennero osservati altri 21 impatti, il maggiore dei quali avvenne il 18 luglio alle 7:33 UTC e fu causato dalla collisione del frammento G. Questo evento creò un'enorme macchia scura con dimensioni di 12000 km, e sprigionò l'energia stimata equivalente a 6 milioni di megaton (circa 750 volte l'energia dell'intero arsenale nucleare mondiale). Il 19 luglio due impatti, separati da un periodo di 12 ore, crearono degli effetti simili a quelli del frammento G. L'ultimo frammento, contrassegnato con la lettera W, colpì Giove il 22 luglio.

Come era stato previsto, le collisioni generarono enormi onde di gravità che viaggiarono attraverso il pianeta ad una velocità di 450 m/s e che furono osservate per più di due ore dopo l'impatto. Alcuni studiosi ritengono che tali onde si fossero propagate attraverso uno strato stabile, che ha funzionato come una guida d'onda, posto in corrispondenza dell'ipotetico strato troposferico delle nubi d'acqua. Tuttavia, le spettrografie sembrano indicare che i frammenti non avrebbero raggiunto lo strato d'acqua e le onde allora potrebbero essersi propagate all'interno della stratosfera.

( Segni lasciati dal frammento G ).

I segni lasciati dall'evento rimasero visibili a lungo e furono descritti come più visibili della famosa Grande Macchia Rossa. Probabilmente furono i fenomeni transitori più importanti mai osservati sul pianeta, e mentre la Grande Macchia Rossa risalta per il suo colore, non fu mai registrata alcuna macchia di dimensioni e colori simili a quelle provocate dalla cometa.
Le osservazioni spettroscopiche mostrarono che l'ammoniaca e il solfuro di carbonio rimasero nell'atmosfera almeno per quattordici mesi dopo l'evento, con un eccesso di ammoniaca nella stratosfera (normalmente l'ammoniaca è presente invece nella troposfera).
La temperatura atmosferica tornò ai livelli normali molto più velocemente nei punti di impatto maggiori rispetto a quelli minori. Nei primi, infatti, le temperature aumentarono in una regione ampia da 15000 a 20000 km, ma scesero a valori normali entro una settimana dall'evento. Nei punti più piccoli, temperature di 10 K superiori rispetto ai siti circostanti persistettero invece per almeno due settimane. Le temperature della stratosfera aumentarono immediatamente dopo gli impatti, per scendere due o tre settimane dopo a valori di temperatura inferiori rispetto alla situazione precedente agli impatti. Soltanto in seguito tornarono lentamente a valori normali.
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A cura di Andreotti Roberto.


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